Sicuramente vi sarà capitato un episodio simile a questo.
Rientro dalle ferie estive:
“Ciao, passate bene le vacanze?”
“Uh non me ne parlare…un disastro!”
“Che cosa è successo?”
“Sono stata alle Mauritius, ma sarebbe stato meglio restare a casa. Un viaggio lunghissimo, il volo è atterrato con un’ora di ritardo e non ti dico quanto ho camminato! Risultato? Sono rientrata più stanca di prima e adesso devo pure ricominciare a lavorare!”
Ecco un tipico discorso che potremmo annoverare nella “modalità lamento ON”.
Coloro che si autoproclamano come vittime hanno come motto, che ripetono costantemente come un mantra, “sono sfortunato, capitano tutte a me!”
Il “vittimismo” è una condotta relazionale disfunzionale, tipica di quelle persone che tendono a descrivere la loro condizione sempre e comunque in modo negativo, assumendo costantemente il ruolo di perseguitati dagli altri o dal destino avverso.
Le vittime croniche possiedono un sistema “immaturo” di affrontare la realtà e di analizzare criticamente gli eventi, per cui il loro “locus of control” è sempre orientato all’esterno: sono sempre gli altri che sbagliano, gli eventi che li perseguitano e la sfortuna che non li abbandona. Ogni cosa che accade non dipende dalla loro volontà ma è subita e percepita come risultato dell’accanimento nei loro confronti.
Chiunque di noi ha vissuto circostanze avverse, periodi no o ha avuto a che fare con persone che ci hanno riservato dei torti, ma il vittimista con la V maiuscola si convince che ogni cosa spiacevole accada sempre e solo a lui e non fa nulla né per orientare il suo pensiero su eventuali aspetti positivi né per cambiare la situazione negativa in cui si trova.
Gli aspetti fondamentali che caratterizzano il perfetto “Calimero” sono:
- Ottiene inevitabilmente privilegi
Il vantaggio che queste persone traggono dai loro comportamenti è procurarsi attenzione, indulgenza, conforto, ascolto, sostegno e affetto e tanto basta per evitare un confronto paritario che possa metterli in discussione. Rivestono una posizione “down”, assicurandosi però quei privilegi che altrimenti non otterrebbero.
- È arrabbiato e incattivito con il mondo
Molti soggetti che utilizzano la lamentela come modalità comunicativa, possiedono anche un atteggiamento di tipo aggressivo che li spinge ad attaccare e accusare gli altri, ritenendoli responsabili dei disastri della loro vita. Vivono la relazione con le altre persone con un atteggiamento sospettoso perché sono certi che le intenzioni siano a priori negative. Spesso perciò si concentrano e si affaticano per cercare di scoprire piccole mancanze o errori che avvalorino questa loro ipotesi.
- Non intende cambiare le cose
Chi trae piacere nel descrivere se stesso e la propria vita in termini vittimistici non ha alcuna esigenza a voler cambiare tale condizione e difficilmente imposterà i suoi discorsi manifestando una esplicita richiesta di aiuto. L’obiettivo di chi ama lamentarsi è primariamente quello di mettere costantemente alla prova l’altro, per testare il suo interesse e capire se può essere amato a tal punto da concedersi il lusso di esibire tutto il ventaglio delle proprie “disgrazie”, ottenendo comunque comprensione.
- Manipola utilizzando il senso di colpa
Chi si trova di fronte ad un “mai contento”, di solito, mette in atto due tipologie di risposta: o utilizza parole di conforto e di consolazione perché altrimenti si sentirebbe in colpa oppure prova a spronare e a scuotere l’altro facendogli notare la relatività delle vicende e i possibili aspetti positivi, ma anche in questo caso la “pseudo vittima” sarà abilissima a riportare il mal capitato sulla “retta via”, pena la colpa di essere tacciato di insensibilità e poca comprensione, “carnefice come tutti gli altri!”
Dunque, che fare?
Intanto il primo passo è cercare di capire se avete davanti un “Brontolo” che tenta di manipolare voi e la conversazione per riconfermare il suo perenne ruolo di vittima, assorbendo tutta la vostra energia vitale.
Una volta accertato che vi siete imbattuti in un vittimista cronico, ascoltate le sue lamentele e provate a mettere in atto la tattica del “consenso strategico”: dategli quello che non si aspetterebbe mai…ragione! Non una ragione consolatoria e di conforto, che è quella che tanto vorrebbe, ma una ragione che sottolinei ed amplifichi la condizione di martire, magari attribuendo una connotazione negativa lì dove non c’è, avvalorando la tesi che “si, è proprio vero, capitano tutte a te e non puoi farci nulla!”
Chissà che ad un certo punto non sia proprio l’eterna vittima a rinsavire e a farvi notare che non è poi proprio tutto così catastrofico.
Provare per credere!
Articolo di MARIA ZURZOLO
Psicologa – Psicoterapeuta – Sessuologa – Terapeuta EMDR
maria.zurzolo@libero.it